A volte, a fronte di domande che pongo a me stessa o che mi pongono dico “non so”.
Fino a qualche anno fa mi infastidiva non sapere, vivevo questa condizione come una fragilità, poca capacità, insicurezza.
Oggi invece il mio “non so” è lo spazio che io lascio per il sì e per il no, o per una risposta che contempla entrambi, con una parte di sì e una parte di no.
In quel “non so” tutte le possibilità sono aperte.
Mi piace poter dire all’altro che sono in ricerca, che non sono ancora arrivata a una conclusione soddisfacente e che ho bisogno di tempo. Mi piace permettermi di prendere tempo, non essere frettolosa per far piacere agli altri e soddisfare le aspettative.
Rappresenta un momento di sospensione.
Mi ricorda il respiro: una parte di inspirazione, una di espirazione e una pausa a polmoni vuoti.
Della pausa pochi parlano e quasi nessuno ci fa caso, eppure è una parte fondamentale, perché in quell’attimo si consuma tutto l’ossigeno e avviene la rigenerazione del tessuto, creando uno stato di rilassamento.
Il “non so” è rilassarsi, è rigenerarsi laddove sentiamo una tensione nella risposta. Dove c’è tensione non c’è armonia e se non c’è armonia la risposta non potrà risuonare in noi, non sarà adeguata a quel momento.
So che qualcuno considererà questa riflessione comoda, vissuta come l’astenersi dalla responsabilità di una scelta. Sento invece che le scelte vanno fatte solo quando le percepiamo parte di noi, quando siamo così convinti che “non può che essere così”. Diversamente, prendiamoci il tempo necessario per lasciare spazio al nostro intuito.
Assumere la posizione di chi si ascolta non è facile, né comodo, è un investimento affinché il “non so” possa far emergere la nostra personale RISPOSTA.